Guardare il mondo con gli occhi della profezia-Sessant'anni di Nostra aetate

Il 28 ottobre la Chiesa cattolica ha ricordato i sessant’anni della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, il documento che ha aperto un dialogo nuovo e fecondo tra la Chiesa e le altre religioni. Questo anniversario è stato per me un’occasione preziosa per approfondire un testo che, fino a poco tempo fa, conoscevo solo attraverso il celebre paragrafo 4, quello dedicato ai rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. Rileggere l’intera dichiarazione, meditarla e scoprire i suoi retroscena, illuminati anche dalle recenti riflessioni di Papa Leone, mi ha fatto cogliere la sua portata profetica.
Si percepisce in ogni riga l’opera discreta ma potente dello Spirito Santo, vero “regista” di questa dichiarazione conciliare. Il cuore pulsante di Nostra Aetate è il desiderio di rivedere radicalmente la visione cristiana dell’ebraismo: il documento riconosce le radici ebraiche del cristianesimo e, partendo da questa consapevolezza, apre lo sguardo verso tutte le religioni. È un invito non solo teologico, ma profondamente umano: conoscendo le nostre radici più autentiche, impariamo a rapportarci all’altro. L’altro — chiunque egli sia, qualunque sia la sua fede — non è un nemico né un avversario, ma un fratello. Come ci ha ricordato spesso Papa Francesco, siamo chiamati a camminare insieme, a costruire ponti e non muri. È bello che Papa Leone, il nostro “Pietro” di oggi, abbia esortato le religioni a un impegno comune, ricordando le parole di San Giovanni Paolo II: l’unità e l’amore tra uomini e nazioni sono indispensabili alla sopravvivenza dell’umanità. Riconoscerci come famiglia umana, accogliere tutto ciò che di vero e di bello è presente in ogni religione, rispondere all’irrequietezza del cuore umano sono alcuni degli aspetti concreti che il Papa ha invitato a realizzare nel cammino insieme come religioni verso un fine comune. Sessant’anni dopo, la sfida di Nostra Aetate è ancora attuale. In un mondo lacerato da guerre, crisi ambientali e rigurgiti di antisemitismo, la Chiesa continua a innalzare la voce per difendere la dignità di ogni uomo e di ogni popolo.
Oggi, come allora, siamo invitati a riconoscere la sacralità di ogni persona e a non ricadere negli errori del passato. Durante l’udienza generale di questa mattina, Papa Leone ha proposto un brano molto significativo: l’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo. (Gv 4, 5-42) In quell’episodio, Gesù ci insegna a guardare l’altro con amore, nello spirito del dialogo, e ci ricorda che “la salvezza viene dai Giudei”. (Gv 4, 22) Quel Gesù, vero Dio e vero uomo, è nato e vissuto come ebreo, portando a compimento la fede dei padri e incarnando le profezie. Non si può essere cristiani e odiare gli ebrei; anzi, non si può essere cristiani e odiare nessuna persona, qualunque sia la sua fede. Le celebrazioni di questi giorni ci spingono ad aprire mente e cuore al dialogo, come fecero i redattori di Nostra Aetate, lasciandosi guidare dallo Spirito e portare là dove il Signore voleva condurli. Ora più che mai, è tempo di tradurre quegli insegnamenti in gesti concreti, in esperienze di condivisione e comunione tra i credenti e ogni uomo e donna della terra. Bellissimo è stato l’invito del Papa alla preghiera comune, nel silenzio, per lasciarci guidare da ciò che oggi Dio desidera per noi: generare fraternità in questa parte di storia dell’umanità.
Il mio desiderio — la mia preghiera silenziosa di questi giorni — è che lo spirito profetico di Nostra Aetate continui a ispirarci verso una Chiesa in ascolto: del Signore, dei popoli, dei segni dei tempi. Solo una Chiesa profetica, capace di leggere la storia con lo sguardo dello Spirito, potrà incamminarsi verso la Pace. “Signore, aiutaci a guardare il mondo con gli occhi della profezia che viene dal tuo Santo Spirito.” Maranathà, vieni Signore!

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